venerdì 18 marzo 2011

Tutto in famiglia “una festa speciale”

Su, su bambini che è tardi, ricordate che oggi si va dai nonni? Ne parliamo da giorni quindi
niente capricci e giù dal letto. Così venivamo esortati io e i miei fratelli ad alzarci dal letto.
Ormai da anni, con l’avvicinarsi delle feste, era uso per la nostra famiglia riunirci dai nonni
paterni dove avremmo trovato i nostri zii e tanti cugini (la nostra era una famiglia numerosa) e
mentre noi ragazzi avremmo giocato, i grandi avrebbero preparato dei mega pranzetti e tante
ghiottonerie.
Noi piccoli eravamo raggianti all’idea di passare qualche giorno dai nonni, non per fare felici
loro che, essendo molto anziani non riuscivano a manifestarci il loro affetto, anche se era evidente
che ci volevano molto bene, ma le loro attenzioni sembrava fossero rivolte più ai loro figli, i nostri
genitori, naturalmente non era così, ma noi sentivamo come un vuoto, avremmo voluto che ci
manifestassero più attenzioni, un bacio…, un abbraccio…, comunque era una prima impressione e
alla fine questo non ci faceva stare male più di tanto, eravamo talmente piccoli che le nostre
perplessità duravano solo il tempo necessario ad inventarci un nuovo gioco. Infatti eravamo felici di
ritrovarci con gli altri cuginetti e visto che i genitori erano indaffarati nei loro programmi e
discussioni da adulti, noi venivamo lasciati più liberi e poco controllati e così potevamo sporcarci o
andare fuori fra i campi e comunque la cosa che subito ci appagava era che non c’era l’assillo della
mamma che ripeteva “hai finito con i compiti”, eravamo finalmente liberi.
I nonni vivevano in una casa di campagna dove tutt’intorno, il nonno, aveva curato che non ci
fossero molti pericoli perciò, “i grandi”, ci lasciavano liberi di scorrazzare fuori tra fiori e qualche
animale da cortile e quindi erano giorni intensi dove ci si trasformava, insomma vacanza.
La nonna era una donna molto alta e magra,aveva i capelli lunghi e bianchi e come si usava a
quei tempi li portava raccolti sulla nuca. Era molto agile e anche molto sveglia, faceva di tutto e non
aveva paura di nulla, sembrava un uomo in gonnella. Il nonno invece era più tranquillo, ormai si
faceva solo coccolare dai figli e dai nipoti ed era orgoglioso della personalità della nonna,per come
riusciva ad organizzare ogni cosa senza mai stancarsi.
Quella volta era il periodo natalizio e i nostri genitori avrebbero fatto i dolci di Natale da noi
chiamati “cuddureddi” e quindi, oltre al gioco e all’avventura, si prospettavano e puntualmente
avvenivano, mangiate megagalattiche di dolci, poiché tutti loro, nonni, zii e genitori, erano
impegnati solo a dare il meglio di se preparando i vecchi prelibati piatti e avventurandosi anche in
nuovi succulenti leccornie, per cui, non potevano dedicarsi a noi che venivamo affidati alla custodia
del nonno. Nonno che si limitava ogni tanto di raccomandarci di stare attenti a non farci male ma
che poi si dedicava alle sue cose lasciandoci praticamente liberi di fare.
La mattina seguente il nostro arrivo la nonna preparava l’impasto per il pane (il pane si faceva in
casa) perciò si alzava molto presto, quando era ancora buio, ed iniziava ad impastare la farina “e
viste le bocche da sfamare doveva farne tanto di pane” e prima che noi tutti ci alzassimo il pane era
lievitato e pronto da infornare. Perciò quella mattina la nonna ci aveva svegliato piano piano senza
apparentemente farsi sentire dai nostri genitori e ci aveva portato con se al forno.
Il forno, a quei tempi, non tutti l’avevano in casa “e non c’erano quelli a gas o elettrici“ ma solo
a legna, così si andava in un forno pubblico che una signora metteva a disposizione della gente e
dove si corrispondeva una somma per pagargli la legna, ma bisognava rispettare degli orari e perciò
bisognava fare delle alzatacce e recarsi in questo edificio, col pane nelle madie portate a spalla ed
essere pronti all’ora stabilita.
Quella mattina quindi c’eravamo anche noi bambini e nonostante l’ora, con il buio ancora fitto
eravamo felici e orgogliosi di tale attenzione. Il forno poi, che era abbastanza lontano dalla casa dei
nonni e nonostante facesse un freddo tale da farci battere i denti, quella mattina ci sembrò molto
vicino, sebbene ad ognuno di noi fosse stata assegnata una teglia con dentro l’impasto. Giunti poi al
forno eravamo rimasti incantati dalla sua grandezza, dal calore che emanava e dallo scoppiettio
della legna, ma non eravamo liberi di chiedere, verificare o toccare perché la nonna ci disse di stare
in un angolino fermi e guardare per non intralciare i lavori. Già c’ era stata una famiglia che aveva
fatto la prima “infornata” e ora era il nostro turno, abbiamo aspettato che la fornaia, la signora
Ignazia, “che nonostante fosse ancora molto giovane dimostrava molti più anni di quanti ne avesse”,
pulisse con una scopa adatta la base del forno, mentre la nonna sistemava le teglie e la madia con i
pani già pronti nelle vicinanze. Poi l’aiutò a metterli su una pala e, a due o tre per volta vennero
infornati, quindi fu chiusa la bocca del forno (così ci venne detto che si chiamasse) a quel punto ci
venne rivolta la domanda su come ci chiamassimo e quindi ci venne dato il via per porre alla
signora Ignazia numerose domande e curiosità che avevamo. Lei fu prolissa di spiegazioni inerenti
la sua professione ma dopo un po’ ci ammutolì con un dito e aprì la bocca del forno. All’interno si
sprigionò un odore fantastico di pane e ci fu donato il primo appena sfornato che noi bimbi non
riuscimmo dapprima neanche a toccare talmente era caldo, ma poi…, poi fu una goduria mangiarlo
così, caldo e senza nessun companatico. Esprimevamo gratitudine sia alla nonna che alla signora
Ignazia per l’esperienza, ringraziandole e gridandole la nostra felicità con frasi tipo “nonna questo
pane è davvero squisito e profumatissimo, grazie”.
Intanto trascorse anche il secondo giorno tra giochi, mangiate e bisticci tra noi bambini, ma
eravamo felici perché l’avevamo vissuto tutti assieme dove ogni cosa era stata creata dalla famiglia
e quelle feste avremmo voluto non terminassero più.
La mattina del giorno successivo ci vide nuovamente tutti pronti attorno al tavolo, ancora in
pigiama ed insonnoliti, ma sapevamo tutti che quella era la giornata più importante, quella dove
sarebbero stati finalmente infornati i dolci natalizi, (li “cuddureddi” appunto) che avevano richiesto
tanta preparazione, ma, nel frattempo, aspettavamo la nonna che tornasse dal vaccaio dove era
andata a comprare il latte appena munto. “A quei tempi non esisteva il latte in busta, in vetro o a
lunga conservazione ma veniva munto alla stalla e in alcuni casi era la stessa mucca a portarcelo
dietro l’uscio dove il vaccaio, il pecoraio o il capraio le mungeva fino a raggiungere il quantitativo
chiestogli”, il latte allora era rigorosamente caldo e schiumoso. Ed ecco arrivare la nonna col
bollitore fumante pieno di latte fresco che ci riempiva le tazze con quel nettare che aveva un
profumo speciale << grazie nonna, abbiamo tanta fame>> ci dava anche dei biscotti da lei
preparati qualche giorno prima, proprio per il nostro arrivo, poi tutti zitti a deliziarci con quella
manna.
Nel frattempo i grandi già cominciavano i preparativi per i dolci, la loro preparazione era
laboriosa e faticosa in considerazione anche del fatto che, eravamo tante famiglie ed ognuna doveva
portarne a casa un consistente quantitativo che sarebbe dovuto durare un paio di mesi. Quindi si
riempiva la tavola di farina, zucchero, marmellata di fichi, mandorle, cioccolato, confettini colorati
e poi teglie, coltellini, strofinacci, mattarelli di legno, attrezzi strani che sarebbero stati usati per il
loro decoro. Lì vicino si creava uno spiazzo per lavorare l’impasto, tutto era pronto ecco che si
cominciava. Noi bambini, curiosi, stavamo a guardare il lavoro delle mamme, che si organizzavano
tipo catena di montaggio, ognuno di loro aveva un compito, chi faceva la sfoglia, chi metteva il
ripieno, poi le più brave davano le forme particolari ai dolci formando fiori, cestini, uccellini ecc.
ecc, era proprio una forma d’arte perché ci voleva molta creatività nel modellare questi dolci, ma il
risultato appagava appieno della fatica e affascinava, ma noi piccoli resistevamo poco e andavamo a
giocare perché ci stancavamo di stare solo a guardare visto che non ci facevano toccare nulla, poi i
loro discorsi da grandi ci annoiavano e preferivamo andarcene per conto nostro.
Dopo un intero giorno di lavoro delle mamme, finalmente i dolci erano pronti, bisognava solo
infornarli e per fare ciò si ritornava al forno della signora Ignazia che ci affittava lo spazio nella
tarda mattinata del giorno successivo (perché il forno doveva essere meno caldo altrimenti quelle
delicate sculture rischiavano di bruciarsi) perciò bisognava ancora aspettare.
La sera, dopo cena, si passava il tempo facendo il resoconto della giornata e programmando
quello che si doveva fare il giorno dopo e poi tutti seduti a cerchio aspettavamo che il nonno
iniziasse a raccontare qualche sua avventura di quando era giovane, noi ascoltavamo come rapiti
queste storie che ci sembravano un po’ vere e un po’ di fantasia, ma a noi non importava ci piaceva
ascoltarle e saremmo stati li, seduti, tutta la notte ad ascoltarne altre, ad un certo momento la nonna
ci diceva “bambini dai che è tardi”, bisognava andare a letto e anche se mal volentieri davamo la
buonanotte e correvamo a dormire certi che la giornata successiva sarebbe stata ancora bellissima.
Finalmente i dolci erano stati cotti, la casa dei nonni era inondata di profumo dolcissimo e noi ne
assaggiavamo a volontà, tutti squisiti. Ma a questo punto l’avventura era finita, presto avremmo
fatto rientro nelle nostre rispettive case, dopo che i nostri genitori e i nonni avrebbero diviso i dolci.
Poi si faceva malinconico rientro e sapevamo che la prossima occasione di stare assieme sarebbe
stata la vigilia di natale e quindi si tornava a sentire la mamma che diceva “non sporcarti, non
uscire per strada, hai finito i compiti, hai messo a posto la tua camera…” però che bello quando
tutto si faceva in famiglia.

FRANCA

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